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31 maggio 2020

Riapro le scatole con gli oggetti, dopo tanto tempo. Tanto tempo dopo il trasloco dello studio, tanto tempo a causa del virus, che ha congelato ciò che si muoveva all’esterno per provare a farci muovere all’interno.

Rivedo gli oggetti come cari amici; la fantasia si mette subito in moto. La “mente desiderante” ne vorrebbe un numero infinito. È la passione per il mondo, per le forme che possono cambiare di posto, ricevere luce oppure ombra; coprire, scoprire, svelare, uscire in mare aperto, predisporre agguati, scendere nel pozzo.

Accarezzo le pietre levigate dal mare, prese tanti anni fa in Abruzzo, quando gli amori erano diversi, quando il mondo si apriva e si chiudeva immenso nelle sue possibilità.

Riporto gli oggetti in studio, e io stessa vorrei non conoscerli così bene per poterli usare, per poter fotografare di nuovo ciò che si muove dentro di me, andare al di là dei lutti – quelli di ora e quelli di prima – al di là degli obblighi e dei doveri.

Oggi prendevo il sole, questo splendido sole di maggio, e mi chiedevo di quel vuoto – cosa dovrei fare? Nulla, nulla, mi rispondevano le onde del ricordo. Mi accadeva nello stesso modo a Torre Suda, sotto il sole del Salento d’estate: cosa altro dovrei fare? Nulla, nulla.

Ma è come se sapessi che invece qualcosa da fare c’è, qualcuno che mi aspetta c’è, anche se non so dove sia. Come allora. È troppo facile pensare che sono le promesse della gioventù, quelle promesse che sfuggono di mano … soprattutto a noi malinconici, a noi menti desideranti, appunto, che abbiamo anche perso di vista cosa desiderare – e non certo perché ci è stato dato tutto.

Perché scegliere di servirsi delle sabbie, infilarsi in questo tour di oggetti che aumentano a dismisura con il tempo …?

Perché gli oggetti sono immagini che creano immagini. Perché anche accompagnare con lo sguardo le persone che, con stupore o con impaccio, osservano e scelgono, inventando uno scenario mai visto e che mai più si vedrà uguale, anche quello è un modo di rimescolare le mie immagini, di aggiungere, di togliere, di rifinire, di scoprire. La fatica e la meraviglia, insieme.

Tra poco si ricomincia. Chi viene a vedere di quali immagini si nutre la propria interiorità?

Che cos'è la Sand-play therapy

La sand play therapy, una forma di arte terapia appartenente all’area junghiana – in italiano, gioco della sabbia – è una forma di gioco e meditazione insieme, adatta a ogni età, con la quale la mente è libera di concentrarsi sul piacere che gli oggetti, la sabbia e il movimento comportano. Ed è un modo di “chiamare a sé i pensieri”, intensamente ma senza sforzo.

È una forma di gioco spontaneo che però, per la particolarità del luogo – la stanza di terapia – e del materiale con cui è svolto – una cassetta dipinta di azzurro e riempita con vera sabbia di mare o di fiume – consente a chi si immerge nello stupore e nel piacere di giocare, un collegamento tra inconscio e conscio.

 

Giocare con le mani, creando, dando la forma che si vuole, è un’attività importantissima per i processi interiori. È qualcosa di serio, di personale, profondo; un atto durante il quale si è coscienti di vivere un momento speciale. Le mani ascoltano: ogni scoperta viene elaborata attraverso le mani, coinvolgendo il corpo fisico e il livello emotivo. Nessuno sa come evolverà il lavoro ... “incontrando gli oggetti nel mondo e portandoli nella stanza”.

 

Il gioco della sabbia non è una tecnica, ma un metodo, ossia “un modo dritto e breve per arrivare all’obiettivo”.

Come Jung ha ripetutamente scritto, l’inconscio è abitato da immagini. Queste immagini a volte ci sono di ostacolo, altre volte ci fanno da guida. Provengono dai nostri ricordi personali, ma anche da un substrato a cui non sempre è possibile accedere, benché sia comune a tutti gli esseri umani della Terra.

“Il campo analitico della sabbia è contemporaneamente transpersonale e allo stesso tempo

quanto di più totalmente personale ci sia … unisce mondi tra il qua e il là”.

 

I sogni e il gioco della sabbia consentono di incontrare le figure e le immagini che ci abitano, costruendo il senso della nostra storia, aiutandoci ad adattarci e a dare valore alle esperienze che facciamo.

Solo attraverso un lavoro paziente su queste istanze personali possiamo arrivare a comprendere il senso della nostra venuta al mondo. Un senso c’è sempre, per tutti.

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Le parole tra virgolette sono prese dal libro “Come una pietra leggera” di Lella Ravasi Bellocchio

Immagine: Relationshipsmatteraustin.com

Giocare e ricordare

 

Se rivolgiamo il pensiero alle memorie dell’infanzia, con molta probabilità troveremo antichi ricordi di giochi con la sabbia.

Possiamo ricordare nel dettaglio posture e movimenti che il nostro corpo infantile agiva durante il gioco. È naturale, superata la sorpresa iniziale, ripercorrere il modo di muoversi, ricostruire la lentezza e la velocità del gesto, percepire la sabbia fine come se fosse ancora sotto le mani, tra le dita, l’odore misto a quello del mare …

Per alcuni la sabbia con cui giocavano era quella dei lavori di costruzione delle case, della strada di campagna, del fiume.

 

La sabbia, se proposta nel pieno rispetto di chi la adopera, offre un raro piacere a chi ci gioca e un ventaglio di osservazioni preziosissime a chi ha occhi per vedere.

Anche quando viene usata nella stanza di terapia, toccare e giocare con la sabbia dovrebbe essere un’esperienza non influenzata da pensieri – meno che mai da teorie! Nulla deve disturbare il lavoro di ricerca e di costruzione dello scenario.

Le emozioni che si possono provare dipendono dalla morbidezza con cui ci si avvicina al proprio mondo spontaneo. A volte è semplice ritrovarlo, altre volte è stato relegato molto sullo sfondo, ma sempre qualcosa sale a galla – che sia tristezza, tranquillità, entusiasmo, stupore, sorpresa per la facilità a entrare nel gioco, rilassamento, nostalgia, desiderio di rimanere più a lungo nel gesto, tenerezza, profonda concentrazione, spensieratezza … - tutto comporta un ritorno a se stessi, un senso di presenza che prende corpo in modo libero e spontaneo.

 

… affondare le mani, riempire, svuotare, ascoltare il suono, sollevare in alto, setacciare, travasare, battere, nascondere, disegnare …

… lasciare impronte, mescolare, osservare, lasciar cadere, guardare, respirare, soffiare, assaggiare, sotterrare, sfregare, dividere …

… ruotare tra le mani, cercare, pulire, spostare, far attraversare la sabbia tra gli oggetti, scuotere, costruire, spianare …

 

Si impara a valorizzare la naturale direttiva interiore, che anima lo sviluppo di un bambino e l’evoluzione di ciascuno, sempre, a qualunque età e in qualunque condizione. Le parole semplici restituiscono ciò che avviene sotto i nostri occhi, ci aiutano a capire chi è la persona con cui parliamo, cosa la anima, a cosa sia interessata.

I saperi fondamentali affondano le radici nella propriocezione, nel tatto, nel toccare ed essere toccati. “La mano è l’organo dell’intelligenza. Attraverso essa si costruisce la rappresentazione” (Maria Montessori).

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Sabbia, antichi ricordi

 

È raro trovare persone che non si sentano attratte dalla sabbia, in riva al mare o a un fiume.
La sabbia è il sedimento che si forma nell’incontro ultramillenario tra l’acqua e la terra; è il frutto di un tornare e ritornare a toccarsi, lambirsi, accarezzarsi. Su questo frutto paziente del contatto tra elementi base, è facile avere il desiderio di lasciare impronte, confrontandole tra loro, o scrivere qualcosa che ci dia il segno del nostro passaggio, almeno per qualche minuto.
La sabbia asciutta è calda, e quel calore lo si ricorda perché intenso e profondo.

La sabbia bagnata mantiene la forma a lungo, e nel giocare con essa ci è consentito modellare e ritornare per lungo tempo sulle linee costruite, in quel pensiero fluttuante che accompagna proprio il gioco e il riordino dei pensieri, dei ricordi, delle sensazioni.

Così accade anche con il gioco della sabbia, in terapia: emergono le sensazioni più antiche, e lasciarsi andare al gioco crea quello spazio meditativo che consente di rinnovare lo stato d’animo, o di dargli una struttura. È un lavoro con le mani che consente di mettere in tridimensionalità ciò che abbiamo dentro, è una sorta di istantanea di uno spazio intermedio tra gli aspetti consci e quelli inconsci.

Portare in luce ciò che abbiamo interiormente consente il cambiamento.
Questo effetto profondo lo si può ottenere anche disegnando o lavorando oggetti con le mani: siamo nell’area della creatività, ma della creatività personale, non di quella fatta per esibire il proprio “prodotto”.
È un dialogo con se stessi, è un “dar forma” a una esigenza che si sente interiormente.

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Spesso il quadro finale stupisce anche chi lo compone. Alcune parti portano a galla ricordi e persone, altre parti invece devono essere lasciate senza parole, nell’attesa che rivelino il loro ruolo, il perché del loro passaggio.
Il processo di trasformazione ha il suo fondamento nell’archetipo del gioco. C.G. Jung
Con il lavoro con la sabbia ci procuriamo un mondo protetto in cui la saggezza del nostro inconscio può parlarci.
Costruire un mondo con il gioco della sabbia è un modo naturale, non verbale, di raccontare una storia – il cammino della nostra storia.

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Sabbia, antichi ricordi 4
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