top of page

Giulia Maria D'Ambrosio

Sono una psicoterapeuta di area junghiana. Sono laureata in Medicina e mi sono specializzata in Neuropsichiatria
infantile, ed in seguito mi sono diplomata come psicodrammatista analitico-junghiana.
I processi dinamici che avvengono nella psiche rappresentano una grande passione, sbocciata intorno ai 13 anni.

Ma soltanto trent’anni dopo ho trovato la persona che mi ha introdotta a Jung e mi ha dato la chiave per studiare in modo organizzato il piano simbolico degli eventi e della vita. Lungo la strada, però, avevo già incontrato persone che mi avevano fornito spunti di riflessione per un lavoro non banale volto a conoscere me stessa. Jung ha fatto da organizzatore di questa conoscenza e di tutta quella che è venuta dopo … Le mie esperienze formative e umane sono visibili qui e qui. Perciò in questa sede non vorrei ripetermi, ma arrivare invece al cuore del senso della cura e di cosa ha significato e significa per me.

 

La “cura” è un atto semplice e quotidiano. È un atto d’amore, è un elemento innato.
Transita dall’atto di pulire, disporre gli oggetti cari e badare alle piante, all’attenzione per l’altro, in modo naturale, perché “occuparsi” è sostenuto da un archetipo molto profondo e antico, quello di Demetra, Cibele e della Madre in generale.
La “cura” non si limita allo studio intellettuale, ed è completata da ascolto profondo e passione, elementi tutti
collegati in modo da creare un continuo passaggio dall’uno all’altro.

 

Il contrappeso maschile alla “mia” Demetra si è manifestato anch’esso prestissimo, quando a 18 mesi martellavo con vigore sull’antica credenza di legno anni ’50, in cucina, e mia madre mi concesse priorità su un cassetto: Efesto, nel bene e nel male, aveva già cominciato a vivere.
La cura e l’uso delle mani per modificare l’ambiente sono stati segni caratteristici, che sono poi diventati il mio modo di essere Medico. Lo studio della Semeiotica, durante il corso universitario, si è poi trasformato in una profonda osservazione del linguaggio del corpo - toccare per visitare, ma anche per percepire il dolore dell’altro attraverso i dolori e i muscoli contratti. Il passaggio di informazioni dall’inconscio alla coscienza avviene infatti anche sul piano della sensibilità corporea. Un posto speciale è riservato all’uso creativo delle mani. Per questo nella mia stanza di terapia si trova anche il materiale per il “gioco della sabbia”, la cui bellezza nasce proprio dalla possibilità di creare in tridimensionalità il paesaggio interno nascosto, gettare un ponte con quella zona così misteriosa da cui provengono i sogni, i malesseri e dentro cui è segnato il nostro personalissimo sentiero.

 

C’è un altro “perché” importante, nella genesi del mio lavoro di psicoterapeuta. Durante l’infanzia ho cominciato ad amare la lettura e ho trovato in essa il rifugio per crescere in modo autonomo. Lo spazio di crescita è sempre un luogo riservato, dove le domande risuonano e si confrontano con le mille incredibili risposte che il mondo fornisce.
Per la mia indole, perciò, il lavoro di psicoterapia è un lavoro di “guardiano” dello spazio personale. In quello spazio si affrontano montagne e abissi, si spargono lacrime, si spostano pietre, si affrontano gli spiriti del passato, si piantano e si tolgono chiodi, si seminano pianticelle, si cuciono insieme le parti che sono state separate. Si ride, anche.

Si apre una finestra nuova e condivisa, da cui guardare il mondo che cambia, di tempo in tempo.


Se desideri prenderti del tempo per te, curare le tue ferite e fare in modo che siano le tue mani a costruire il
sentiero, se i tuoi sogni e le tue immagini ti lanciano dei richiami, ti do il mio benvenuto.

© Giardino dei Butchard, Vancouver, Canada

scala colori.jpg
bottom of page