Quando si entra in un gruppo, si osserva la naturalezza e la profonda verità con cui i partecipanti più “datati” affrontano le loro questioni. Ciò incoraggia chi è entrato da poco a esporre gradualmente la sua storia, avendo già osservato che i partecipanti sono abituati a vivere intensamente ogni parte assegnata e a restituire al Protagonista di turno, alla fine dell’interazione, il proprio prezioso contributo – formato da sensazioni, ricordi, sentimenti, pensieri e intuizioni.
La mancanza di un livello interpretativo - cioè di un livello in cui fatti o personaggi o sentimenti vengono inquadrati secondo uno pseudo-incasellamento di significato - lascia liberi i partecipanti di esprimere i propri livelli di coinvolgimento, facendo appello alla personale immaginazione e struttura di personalità.
Per esempio, se chiamato a interpretare un grande edificio apparso in un sogno, al cui interno si svolge una scena, l’Ausiliario che ha il compito di interpretare la costruzione alla fine del gioco potrà riferire: “Io, come edificio, mi sono sentito solido; avevo una bella porta, delle finestre, e sentivo che dentro di me stava avvenendo qualcosa di importante. Sentivo molto la presenza della finestra sul tetto, rivolta verso il sole …”.
È importante rilevare che, in questo caso, la struttura dell’edificio – che in genere rappresenta la personalità o il corpo – così descritta permette all’Ausiliario di ricontattare la sua propria solidità personale; allo stesso tempo restituisce al Protagonista uno degli aspetti di sé significanti del sogno.
Vi sono particolari che spesso vengono trascurati, nel lavoro colloquiale sul sogno; il fatto di poter mettere in scena ogni elemento che nel sogno è comparso, consente di esplorarne minuziosamente il contenuto e di dargli uno scenario più completo.
A volte il gruppo lavora in modo preciso reali accadimenti della vita delle persone; a volte, un passato doloroso, che il Conduttore può spezzettare in parti diverse, per consentire una messa in scena che lasci spazio al pensiero e non solo all’emozione.
È chiaro che l’accoglienza reciproca dei contenuti psichici e degli avvenimenti reali condivisi lega i componenti del gruppo in modo molto profondo. La fiducia si instaura perché tutti lavorano le questioni di tutti. Perciò, uno degli aiuti più importanti che questo lavoro apre è il fatto di poter costellare il gruppo come oggetto transizionale, che diventa in seguito una presenza interiore viva, in grado di fornire sostegno anche da lontano, quale rappresentazione di oggetto interno positivo.
La distribuzione dei sentimenti, legata al particolare approccio dello Psicodramma, consente di ricevere un aiuto importante nel superare il sentimento di vergogna, che tanti casi della vita ci costringono a fronteggiare. L'accoglienza del gruppo in gesti, parole, condivisione di momenti altrettanto feriti; l'approccio materno dei partecipanti che accolgono e condividono; l'approccio paterno che solleva e riabilita: sono gli elementi che consentono al piccolo gruppo di amplificare e sostenere la tenuta dell'Io nel riesumare eventi catastrofici per la personalità, elemento prezioso perché il sentimento della vergogna ha proprio come caratteristica fondamentale il mantenimento di una segretezza che si rivela corrosiva.
“Alcuni affermano che la comunità si basa sui legami di sangue, altri che è frutto di una scelta, altri ancora che è imposta dalla necessità. E sebbene ciò sa vero, il campo gravitazionale incommensurabilmente più forte che tiene insieme un gruppo è costituito dalle storie … dalle semplici storie comuni e condivise.
I racconti che le persone si fanno intessono una tela robusta, capace di riscaldare le più fredde notti emotive o spirituali. Così le storie che nascono dal gruppo con il passare degli anni diventano estremamente personali e nel contempo eterne, poiché grazie alla ripetuta narrazione acquistano una vita propria” (Clarissa Pinkola Estés, L’incanto di una storia).
